La famiglia italiana da 50 anni è chiusa in una casa a forma di tv.
Si parla sempre di qualità dell’architettura rivolgendosi agli addetti del settore: amministratori e progettisti di ogni Ordine e grado. In ogni dibattito che abbia come tema il tessuto urbano esistente, ci si chiede come mai la qualità spesso non faccia parte delle nostre città. E in modo sbrigativo si dà la colpa alla cattiva amministrazione, al profitto e a progettisti senza qualità che esercitano nella loro professione solo il potere del timbro.
In buona parte è vero. Ma resta il dubbio: quanta gente vuole veramente la qualità? E che forma ha nella loro testa?
Complessa la risposta. Forse sarebbe necessario eseguire un sondaggio di mercato sui gusti e sul livello di percezione della qualità architettonica, proprio come si fa con un detersivo o un’automobile prima del lancio sul mercato. Eppure ci sarà un senso comune dell’Architettura di Qualità. Ci sarà un modo per poterla riconoscere, anche solo per un attimo, senza dover per forza ricorrere ad un call center per effettuare una ricerca a campione?
Si può provare a cercare qualche traccia nell’universo visivo dei luoghi comuni della pubblicità. Come sono fatti gli edifici degli spot? Che aspetto hanno i luoghi scelti da fotografi, registi e creativi di ogni genere, per far catalizzare l’attenzione sui prodotti reclamizzati?
Chi meglio dei creativi pubblicitari può aiutarci a capire? Per mestiere sono abituati a percepire i luoghi comuni del visivo, e a sintetizzarli e usarli come rafforzativi del messaggio pubblicitario. La loro sintesi non è una scienza esatta, perché la loro professione si muove pur sempre in ambiti fortemente creativi. Ma di certo il loro messaggio visivo deve colpire lo spettatore, emozionandolo e mostrandogli qualcosa che lui possa riconoscere, comprendere e metabolizzare in tempi immediati.
Il rapporto tra architettura e pubblicità di questi ultimi anni è molto forte. Tanto per cominciare in diversi spot è possibile riconoscere distintamente la figura dell’architetto. Riconosciamo l’architetto che, gustandosi una brioche Kinder, si prende una pausa dal faticoso disegno che sta realizzando su un anacronistico tecnigrafo. Un altro architetto lo ritroviamo nella donna distinta che firma con Telecom il suo contratto di servizi telefonici aziendali, mentre fissa lo schermo di un computer con il sorriso soddisfatto dei vincenti nel rimirare il suo ultimo progetto.
Quindi nell’immaginario collettivo c’è la figura del progettista, che spesso è un architetto.
E considerato uomo di gusto e capace di vincere grazie alla forza delle sue idee e della sua creatività. Unica nota dolente di questi spot sono i disegni del progetto presenti al fianco di questi testimonial: un anonimo scatolone ravvivato solo da finestre e porticati fatti in serie.
Persino in uno degl’ultimi spot della Wind i comici Aldo, Giovanni e Giacomo sentono la necessità di chiedere una consulenza a “l’architetto Cazzuola”. Nella prima versione lo spot si concludeva con la battuta: “Non è architetto, è geometra!”. Dopo la querela dell’Ordine dei Geometri. la battuta è diventata: “Altro che architetto, se non ha finito nemmeno la scuola materna!”.
Ma nella pubblicità odierna, l’immagine del “personaggio” che ama e crea la qualità non è semplicemente una figura idealizzata che vagamente ricorda un architetto. Spesso è rappresentato in carne ed ossa dalle archistars. E così ritroviamo Norman Foster per gli spot degli orologi Rolex, Frank Gehry per i mobili Vitra, OMA per Prada, Michael Graves per il caffè Millston e gli italiani Massimiliano Fuksas, per le automobili Renault, e Renzo Piano per la Lancia. Per capire quanto sia forte questo legame tra architetti e design di qualità nei luogi comuni degli spot pubblicitari basti pensare che il NAI (Netherlands Architecture Institute) di Rotterdam nel maggio del 2005, ha realizzato una mostra proprio dedicata a questo tema dal titolo “Ads & Architect. The architect as a marketing Tool” . Erano presenti 90 esempi di pubblicità, tra spot televisivi e campagne stampa, dove architetti e advertisers si usavano reciprocamente per creare ed accrescere la propria immagine.
Non ci resta che passare all’ immaginario architettonico-urbano rappresentato negli spot della tv italiana. Il lessico architettonico della città di New York, e poi Parigi come sua antitesi… e a seguire esempi architettonici provenienti da Milano, Roma e Torino.
Il caos delle strade di New York e lo skyline dei suoi grattacieli sono ottimali per far luccicare la carrozzeria di qualsiasi auto, per rafforzare il fascino dell’ultima modella chiamata a reclamizzare un orologio, un gioiello o un profumo unisex. Ogni pezzo di quella città appartiene all’immaginario collettivo, forse più per merito del cinema e del fumetto supereroistico che della pubblicità.
New York è la città presente nei luoghi comuni del pianeta non solo con i suoi edifici lussuosi, ma anche con i suoi quartieri residenziali popolari, fatti di vicoli stretti, di scale antincendio arrugginite, di serbatoi dell’acqua sui tetti e di idranti ai bordi dei marciapiedi pronti ad esplodere alla prima occasione. E con l’immagine della metropolitana, spesso sede di spot per articoli tecnologici portatili: telefonini, e-book, mp3 e videogames. Gli ambienti sotterranei mostrati sono sempre rivestiti da limpide piastrelle e illuminate da diversi colori.
Nelle pubblicità di quest’ultimo periodo New York non è solamente celebrata ma comincia ad essere vista in modo critico, confrontata con spazi più semplici e meno caotici secondo una visione più intimista che negli spot sta prendendo sempre più piede. E così troviamo auto che scappano dal centro in tutta velocità, per poi perdersi in aperta campagna.
Parigi negli spot tv è la Tour Eiffel. Poi è anche un insieme di palazzi ottocenteschi con i tetti in rame costellati di romantici lucernai (preferibilmente ovali). E ancora dopo è una città fatta di vicoli pieni di tavolini dei Cafè des Artistes, di lampioni in ghisa, di panchine, aiuole e aree pedonali perfettamente pavimentate. Solo come ultima scelta troviamo la Gare du Nord, l’Operà, le Champ Elise, la Senna e Notre Dame. Un insieme di elementi evocativi di un atmosfera romantica che per Parigi è come una condanna. Abiti firmati e profumi sguazzano in questo tripudio di luoghi comuni del romanticismo.
In contrasto a tutto ciò troviamo, negli sfondi delle pubblicità delle automobili francesi, scorci de
La Defénse. Un fondale contemporaneo come Le Grande Arc è ottimale per inscatolare le curve sinuose delle utilitari francesi.
Potremmo chiederci in che modo i dettagli architettonici delle città come Parigi e New York mostrati nelle pubblicità possano influire sul comune senso della qualità urbana.
In un solo modo: rafforzando nell’immaginario collettivo il bisogno di una città con un grande potere iconico. Le nostre città non sono e non saranno mai Parigi o New York. Ma le loro immagini in tv ci ricordano che segni forti o facilmente riconoscibili sono elementi imprescindibili di una qualità (almeno visiva) condivisa.
E’ su questo principio che si basano una serie di spot degli anni ’80 e ‘90 dal respiro nazionale dove per promuovere prodotti come i Mondiali di Calcio, la pasta Barilla, o la Coca-Cola, ritroviamo le nostre icone archittettoniche italiane più consolidate: il Duomo della Milano da bere, il Colosseo, il Cuppolone di San Pietro, la Torre di Pisa, il campanile di Piazza San Marco a Venezia, sino ad arrivare con stupore alla Cattedrale di Trani.
Tutte queste architetture sono fortemente riconoscibili e come tali nel paese dei luoghi comuni meritano un posto sul podio della qualità architettonica, senza dover aggiungere altro. Ma che accade quando i manufatti architettonici non sono altrettanto immediatamente riconoscibili?
In questo caso si ripiega su ambientazioni molto lontane dallo standard urbano che il cittadino medio è abituato a percepire, e che hanno un fascino particolare tale da rafforzare l’immagine del prodotto reclamizzato. Oppure troviamo singoli dettagli architettonici, di qualsiasi genere, tali che da soli riescono ad evocare un’idea di città necessaria a supportare la comunicazione del prodotto.
Nel primo caso facciamo l’esempio del quartiere romano disegnato da Gino Coppedè nei primi anni del ‘900 . Diverse case di produzione di spot pubblicitari riconoscono che gli scorci Art Nouveau di questo isolato urbano sono tra le migliori location per pubblicizzare prodotti di design.
Sempre nel primo caso troviamo l’austero e metafisico EUR di Roma. Un intera campagna pubblicitaria della Tim, della Lancia si svolgevano in questo quartiere. La storia del set cinematografico stabile più grande d’Italia è narrata nel libro Eur, si gira. Tra cinema, architettura, fiction e pubblicità la storia e l’immagine di un set unico al mondo curato da Laura Delli Colli ed edito dalla casa Lupetti.
Nel secondo caso troviamo pezzi di città. Troviamo le ampie vetrate degli aeroporti come Linate, Malpensa, Fiumicino, London Stansted, New York JFK, per poter incorniciare un aereo che è sempre capace di evocare forti emozioni utili al messaggio pubblicitario. Nello spot delle uova pasquali Kinder troviamo uno stuolo di tetti con i coppi rossi, che presto rivedremo ricostruiti in tutto l’Abruzzo terremotato al grido di “Com’era, dov’era!”. Troviamo nonni che parlano di dentiere, pensioni e prestiti, seduti su una panchina di un bellissimo parco verde e attrezzato (pezzi rari nelle nostre città!). Vediamo cassonetti lucidi per la raccolta differenziata che nascondo piccole macchine come la Smart, immense aree pedonali nelle più belle piazze italiane invase da gente sorridente che siede ai tavolini mentre sorseggia uno spritz. Troviamo tappeti di casette all’americana con l’aiuola innanzi alla casa dove il padre di famiglia parcheggia l’auto.
Troviamo alcuni distinti quartieri torinesi (palazzi edificati nell’arco della prima metà del ‘900 e non oltre) che sono le quinte sceniche della gran parte degli spot Vodafone. Sempre Vodafone ha pubblicizzato prodotti che regalavano il 30% di telefonate in più, ricorrendo all’immagine di un edificio ampliato nel suo volume in modo staticamente improbabile.
Ma dov’è allora l’architettura contemporanea?
Ce n’è poca e spesso si vede solo per merito di automobili. Veloci inquadrature dedicate a scorci prospettici di edifici delle archistars, le stesse citate in precedenza. Tra i più quotati c’è Calatrava che con i suoi ponti aerodinamici stimola la fantasia di tutti i creativi dell’advertising. Una menzione particolare va allo spot di qualche anno fa sempre della Vodafone dove la modella Megan Gale pattinava sui tetti del Museo Guggenheim di Bilbao.
Dopo questa, sicuramente incompleta carrellata, possiamo dire che nell’immaginario collettivo, o nello scatolone dei luoghi comuni, un surrogato di qualità architettonica c’è! A volte rappresentata in modo distorto ma se non altro menzionata. Si può dire quindi che esiste una comune domanda di qualità urbana, pur non esternata con forza, potenziale e mal formulata.
E allora perchè lasciare al caso?
La pubblicità ha modificato i nostri comportamenti. In bene se i messaggi e i prodotti pubblicizzati erano buoni, in male se il messaggio era diseducativo e ingannevole.
Il regolamento deontologico dell’ Ordine degli Architetti vieta la realizzazione di spot a favore di uno o dell’altro professionista. Ma non vieta la possibilità di pubblicizzare l’architettura e il bisogno di qualità nelle nostre città.
E adesso permettetemi una provocazione: perché non chiedere al nostro Ordine Nazionale di pianificare una campagna a largo raggio tutta dedicata alla promozione della qualità urbana e architettonica? Forse solo dopo questa azione qualcuno potrebbe cominciare a pretenderla dalle amministrazioni, o a pagarla il giusto come si fa con un telefonino iperaccessoriato, o un SUV dell’ultima generazione.
Articolo di Luca Battista e pubblicato sulla rivista Architetti Taranto n° 02/2009